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Lo snaturamento dei prodotti alimentari dovuto alla globalizzazione
porta alla degenerazione della specie umana


  L’uomo dal ventesimo secolo è vittima di una progressiva degenerazione psicofisica i cui effetti hanno cominciato ad evidenziarsi in misura drammatica negli anni Settanta.
  Tale degenerazione è determinata in primo luogo da un’alimentazione non naturale, che è frutto di una produzione alimentare di tipo industriale e, di conseguenza, di un’agricoltura di tipo artificiale.
  Per capire esattamente il primo punto, occorre partire dal delirio del razionalismo che ha trascinato un numero sempre maggiore di persone ad occuparsi delle attività secondarie e del mondo artificioso che esse costruiscono. L’attività primaria dell’agricoltura viene così trascurata, ma da essa si pretendono comunque beni alimentari in abbondanza e a basso prezzo. Per ottenere questo le aziende che producono i cibi finali devono adottare tecniche di lavorazione industriali, le cui esigenze (raccolta, conservazione, trasporto e lavorazione in tempi medio-lunghi, vale a dire dai tre ai dodici mesi e anche oltre, dei prodotti agricoli di base) richiedono che la materia prima (i prodotti agricoli raccolti) sia omogenea ed ‘inerte’. Si fa perciò largo uso di conservanti e ‘narcotizzanti’ sia prima sia dopo la lavorazione, affinché i naturali processi fermentativi dei prodotti agricoli di base siano eliminati del tutto o bloccati. Così anche prodotti della terra genuini vengono privati delle loro sostanze più attive e addizionati di preparati chimici non naturali e molto spesso sensibilmente dannosi.
  Ma l’attuale tipo di sviluppo economico ha portato addirittura a snaturare in modo inaccettabile gli stessi prodotti agricoli primari ancora nella loro fase di crescita. La ripartizione produttiva provoca infatti una sperequazione sostanziale tra redditi agricoli e redditi da produzioni secondarie. In effetti chi lavora ottiene, in generale, un reddito proporzionale a tre elementi costitutivi del prodotto: originalità del prodotto stesso, produttività delle macchine-manodopera, economie di quantità. Ora, mentre il produttore di beni secondari per aumentare il suo reddito può sviluppare tutti e tre questi elementi, e soprattutto il primo, chi invece lavora la terra non può contare sul primo elemento, o in misura molto limitata, perché i prodotti agricoli non dipendono dalla creatività e quindi non avranno mai un ‘plusvalore’. L’agricoltura avrà quindi sempre, in condizioni normali di mercato, un reddito minore delle altre attività lavorative.
  Di conseguenza chi lavora in agricoltura dovrà, per guadagnare come gli altri lavoratori, sviluppare al massimo gli altri due elementi della produzione: meccanizzazione e automazione; colture intensive e fertilizzazione chimica (e oggi anche specie geneticamente modificate).
  Questo sistema, che mira a produrre la massima quantità possibile di uno stesso prodotto su grandi estensioni di terreno, è oltremodo dannoso perché: non fa aumentare nel medio periodo la redditività reale perché i costi crescono parallelamente allo sfruttamento del terreno; rende debole l’economia di zone molto vaste che restano senza alternative in caso di crisi del mercato; estingue gradualmente la fertilità del terreno proprio per quel tipo di prodotto; inquina l’ambiente naturale (dovendo utilizzare fino a cinque volte più concimi delle coltivazioni tradizionali); porta, soprattutto, a mutamenti biologici nella specie umana.
  Ecco una breve spiegazione di come ciò accade.
  Ogni organismo vivente si sviluppa al massimo quando può assorbire le sostanze che gli servono nella quantità maggiore, con le proprietà migliori e nelle migliori condizioni. Sul pianeta Terra questo avviene normalmente perché ogni specie di vivente ha sotto di sé delle specie inferiori che le preparano per l’assorbimento, rendendole organiche, le sostanze materiali che le servono ma che essa da sola non potrebbe assimilare. In questo sistema, definito ‘ciclo biologico’, le varie specie viventi sono sistemate ‘a catena di alimentazione’, dentro la quale possono svilupparsi nella misura massima compatibile con tutte le altre, secondo un perfetto equilibrio naturale basato sul reciproco controllo ('piramide alimentare').
  La coltura estensiva-intensiva rompe questo ciclo perché, creando in ampi spazi un habitat drasticamente uniforme, fa scomparire alcune specie di organismi viventi i cui antagonisti naturali di conseguenza possono crescere a dismisura, creando problemi a tutte le altre specie. Poiché molte specie cresciute in modo abnorme si nutrono di piante coltivate dall’uomo, ecco che questi per eliminarle dovrà intervenire sul territorio con preparati chimici: si avveleneranno così direttamente o indirettamente tutti gli organismi viventi della zona, compresi quelli consumati dall’uomo, e si elimineranno ancora altre specie, in particolare i microrganismi, che sembrano le specie più inutili ma che invece sono la base di partenza di tutto il ciclo biologico. In questo modo le specie superiori, come le piante, non saranno più in grado di assorbire le sostanze presenti nel terreno, prima ‘dissodate’ dai microrganismi, e dovrà nuovamente intervenire l’uomo, questa volta per alimentare direttamente i vegetali con i concimi chimici.
  A questo punto però il vegetale non è più un organismo biologico vero e proprio, ma una macchina chimica che cresce solo per quanto le viene somministrato, sia per qualità sia per quantità, rimanendo priva quasi del tutto di quei principi biologici attivi, come le vitamine e gli enzimi, che soltanto gli organismi inferiori (insetti, batteri) potevano dargli e che soli ne facevano un organismo vitale. Lo stesso accade alla specie umana che, alla sommità della scala biologica, si alimenta di animali e vegetali così trasformati.

  Negli schemi grafici sottostanti sono illustrate la situazione naturale ideale e quella attuale della produzione agricola nei paesi tecnicamente più progrediti: l’uomo ha smontato pezzo per pezzo la meravigliosa macchina della natura  e pretende di far funzionare ognuno di essi per proprio conto.
   
   
  Il risultato delle colture artificiali e della trasformazione industriale dei prodotti agricoli fa rabbrividire: anche l’uomo sta diventando una macchina chimica, un organismo vivo ma non ‘vitale’, con la perdita delle capacità attive, con la prevalenza di comportamenti passivi e con riduzione delle differenziazioni comportamentali da individuo a individuo. 
  Calando la vitalità al minimo, infatti, anche gli istinti lavorano al minimo, in particolare ai livelli intellettivo ed emotivo, che richiedono più energie di quello fisiologico (da cui, tra l'altro, il continuo aumento del ricorso a droghe stimolanti) . Se cala dunque la forza degli istinti cala anche la forza della volontà, per cui avremo uomini sempre meno capaci di decisioni forti e continuative.

  Vediamo qui completarsi il quadro spaventoso della futura umanità razionalista: un mondo di uomini-robot, amorfi e uniformi, supercondizionati da un potere unico, di stampo socialista, il cui unico obiettivo sarà di soddisfare le esigenze dei cittadini al livello più basso, quello fisiologico.
  Tutto questo è imputabile non soltanto alla alimentazione ma anche all’attuale modo di curare le malattie, dell’uomo come degli animali e dei vegetali, anch’esso molto poco naturale. Infatti quasi tutta la medicina attuale è, per eccesso di razionalismo ma probabilmente anche per interessi di parte sostenuti dal potere politico, essenzialmente basata sugli artificiosi preparati della chimica, mentre il corpo umano accetta molto meglio altri tipi di terapie, come la medicina delle erbe, dei metalli, dei fluidi eccetera.
   
Estratto dal saggio ‘ Il Sistema di Base’ del Gruppo Teilhard de Chardin VEDI
 
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